EDUCAZIONE EMOZIONALE

L’attenzione degli insegnanti al benessere psicofisico fin dalle prime epoche di sviluppo ha permesso di integrare la dimensione della socializzazione a quella dell’apprendimento delle emozioni, sempre più convinti del concetto che intelletto ed emozioni non sono aspetti separati.  I bambini sono iperstimolati e dall’esterno vengono bombardati di informazioni difficili da integrare, alle quali faticano a trovare una collocazione.

I tanti contenuti sono spesso complessi, sempre diversi e rischiano di occupare tanto spazio nella mente del bambino. In queste condizioni, i contenuti emotivi rischiano di essere “sacrificati”, come se la mente fosse una bellissima scatola troppo piena, dove gli oggetti si comprimono l’un l’altro. Le emozioni infatti hanno molteplici sfumature, sono diverse dalle sensazioni fisiche, ma come la fame o la sete, le prime volte che vengono provate, hanno difficoltà ad essere riconosciute. Le emozioni quindi sono per il bambino importanti scoperte da mettere in relazione con le cause che le hanno generate.

In questa fase dello sviluppo del bambino, le prime idee di autonomia e di esplorazione prendono sempre maggior corpo e si iniziano a formare le prime emozioni personali e la “teoria della mente”, ossia la capacità di immaginare lo stato emotivo di un’altra persona. Il bambino capisce fin da subito l’importanza e “il potere” delle emozioni che prova e ne fa uno strumento di comunicazione con il mondo esterno, usando principalmente il corpo, i gesti, la mimica facciale e tutte quelle modalità comunicative che sono influenzate dalla creatività, dalla fantasia e dalla curiosità.

 

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La scuola dell’infanzia diventa così “il teatro” dove le emozioni vengono sentite, sperimentate, espresse e comunicate, in un momento di passaggio evolutivo in cui il bambino inizia ad essere più autonomo dal nucleo familiare e viene proiettato in una realtà dove l’interazione con gli altri bambini, che hanno gli stessi bisogni e che reclamano le stesse attenzioni, offre allo stesso tempo una “frustrazione necessaria” per la crescita, ma anche una possibilità di rispecchiamento e di scambio di emozioni nuove e inespresse.

Ecco che la scuola viene ad assumere un ruolo fondamentale nella genesi di quella che oggi chiamiamo “intelligenza emotiva”, intesa come la capacità di riconoscere, rispettare e mettere in parola il mondo dei sentimenti e delle emozioni, per imparare a sviluppare in modo globale il funzionamento mentale e la comprensione della realtà, per far crescere le competenze sociali e relazionali, per dare una risposta, in termini di empatia e di aiuto, ai problemi e alle difficoltà dell’altro. L’intelligenza emotiva è la capacità di riconoscere ed esprimere attraverso il linguaggio i sentimenti, che scorrono fluidi, veloci, spesso messi da parte o sottovalutati, è  la capacità di dialogare con le emozioni per controllarle senza reprimerle e senza far finta che non esistano. La scuola dell’infanzia acquista un alto valore espressivo, come se fosse un laboratorio fantastico in cui i bambini attraverso percorsi individuali e collettivi “producono” emozioni e le esprimono, arricchendo sempre di più e rendendo più raffinata la loro competenza emotiva e quella degli altri bambini.

La competenza emotiva possiamo così dire che sarà il primo obiettivo: solo imparando a riconoscere correttamente le emozioni in noi stessi e negli altri e ad esprimerle in modo socialmente accettabile, il bambino può entrare in relazione con le proprie parti di sé e con l’altro, attraverso delle attività ludiche e operative, a comunicare e riconoscere nell’altro gli stati emotivi.

Educare alle emozioni significa in prospettiva anche educare all’affettività,  all’incontro con l’altro e alla condivisione del proprio mondo interno, delle proprie immagini e del proprio mondo simbolico.

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